Ognuno di noi,
nel proprio percorso di vita, avrà certamente incontrato un bambino con
difficoltà di linguaggio, ma fino a che punto ci rendiamo conto dell’importanza
di un linguaggio pulito, chiaro e in linea con le tappe di sviluppo e quanto
invece giustifichiamo alcune immaturità linguistiche come frutto di un eloquio
da “piccolino” e per alcuni aspetti, anche molto buffo e divertente?
Se chiedessimo
al bimbo in questione, di raccontarci cosa vede nell’immagine qui sopra e lui
ci rispondesse:
“ Un ba che doda toi dadi lida i dadi e i bo
te doda to oso”
“Uno bambina
dadi giocare dadi tirare uno bambino che orso gioca”
Oppure ci
guardasse come stupito, senza rispondere e rivolgesse subito la sua attenzione
verso altro.
Che cosa
penseremmo realmente?
“E’ piccolino,
svogliato ma presto parlerà e bene” oppure ci interrogheremmo sulla possibilità
che possano esservi delle difficoltà a carico dei suoi sistemi linguistici, considereremmo
quali implicazioni, queste difficoltà, possano avere nello sviluppo di
competenze come la lettura e la scrittura e quali conseguenze ci siano per la
sua sfera emotiva e sociale?
Il Disturbo di
linguaggio (DL) rappresenta una tra le più frequenti difficoltà che si può
riscontrare nello sviluppo dei bambini di età compresa tra i 2 e i 6 anni. Si
stima che la diffusione di tale disturbo si aggiri intorno al 5% (Stark e
Tallal, 1981).
Nell’ambito dei
DL riconosciamo due macro categorie: i disturbi di linguaggio “secondari”, che
si presentano in associazione a un disturbo di origine primaria (deficit
neuromotori, cognitivi, sensoriali ecc.) e i Disturbi Specifici di Linguaggio (DSL) che non dipendono da altri
deficit e si presentano con una compromissione specifica dell’abilità di
linguaggio.
Vale a dire che
i bambini, che presentano un DSL, possiedono:
- udito nella norma;
- non presentano evidenti problemi neurologici;
- sono adeguati nei test di intelligenza non verbale;
- presentano quoziente intellettivo nella norma;
- non presentano difficoltà di tipo relazionale;
- sono inseriti in un contesto socio-ambiente stimolante.
Nonostante i
tratti che accomunano i bambini con DSL sono gli stessi in tutti i bambini, i
profili linguistici e le espressioni di questo disturbo sono molteplici e
variano di bambino in bambino.
Esistono
diverse classificazioni del DSL, una delle più utilizzate viene formulata
dall’ICD-10 e prevede la divisione in quattro sottoclassi. Nonostante ciò, questa
classificazione, è un’eccessiva semplificazione nei confronti della pratica
clinica, dove le espressioni del disturbo sono molteplici. Rapin e Allen (1988)
attuano una divisione di derivazione neurolinguistica senz’altro più
dettagliata e raggruppano il DSL in 6 sottocategorie. Utilizzando la loro
tassonomia ci rimane facile descrivere più approfonditamente le espressioni del
disturbo.
Il disordine
che si osserva con maggior frequenza è la sindrome da Deficit fonologico-sintattico,
in cui, il versante espressivo maggiormente coinvolto, è quello fonologico (organizzazione
dei suoni nelle parole) e morfosintattico (organizzazione delle frasi complete
di soggetto-verbo-oggetto-complementi); da questo differisce la sindrome da Deficit
fonologico, da molti definito anche come Disordine Fonologico
(Bortolini 1993) che vede coinvolto unicamente il canale fonologico.
Riconosciamo poi la Sindrome lessicale-sintattica caratterizzata da problematiche
ad accesso lessicale, quindi nella comprensione della frase dal punto di vista
del significato delle frasi e del significato delle parole.
Le restanti tre
categorie si riscontrano in condizioni più rare, Agnosie Verbali e
Disprassia Verbale, o collegate a disorganizzazioni cognitivo
affettive, come nella Sindrome semantica-pragmatica.
Adesso, se
incontrassimo nuovamente il bambino di prima e lui ci dicesse in maniera
convinta: “un ba che doda toi dadi lida i dadi e i bo te doda to oso”, potreste ridere al buffo modo di parlare del
piccolo, MA potreste anche pensare
che si tratta di una difficoltà nell’organizzare fonologica dei suoni e se ci dicesse:
“Uno
bambina dadi giocare dadi tirare uno bambino che orso gioca”, potreste
pensare che è ancora piccolino, MA
anche che siete davanti ad una difficoltà di tipo morfosintattico e ancora, se il
bambino non vi rispondesse, potreste pensare che è svogliato, MA anche che non abbia compreso la sintattica
e il lessico della vostra frase.
In-Formare i
genitori e tutte le figure che si occupano della crescita dei nostri bambini,
sulle tappe di sviluppo del linguaggio e sulle possibili difficoltà comunicative
e di linguaggio che possono presentarsi, li rende in grado di poter essere i
primi, a riconoscere eventuali campanelli d’allarme per potersi rivolgere, poi,
alle figure competenti in materia.
Essere attenti,
attivi e responsabili nello sviluppo del linguaggio dei nostri bambini ci
permette di garantirgli un sereno e valido evolversi di competenze superiori
come quelle metafonologiche e di letto-scrittura.
Dott.ssa Viola Proietti
Logopedista
Elicriso Psicologia e Riabilitazione