Panoramica sulla naturale forma
d'espressione dell'infanzia: le origini, le implicazioni sociali, l'evoluzione
in strumento di crescita e di terapia.
Cosa e perché giochiamo differisce a seconda
del nostro punto di riferimento. Nessuna singola prospettiva è quella “giusta”.
Nel definire questo termine, ci si trova di fronte a formule frequentemente
incomplete o inesatte. Inoltre, il gioco appartiene alla dimensione sociale
della persona, che è spesso difficile spiegare in termini logici.
Di seguito vengono riportati alcuni aspetti
relativi al gioco dell'infanzia:
- i bambini
giocano indipendentemente dall’appartenenza culturale;
- si gioca
per il solo piacere di farlo. L’attività ludica è un obiettivo in se
stessa e non è indirizzata a produrre niente;
- giocare
permette l'elaborazione e la comprensione sociale del bambino;
- giocare
fornisce un’opportunità per diventare più consapevole di sé attraverso
l’interazione con il mondo circostante, per decentrarsi e guardare la
situazione dal di fuori: “L’orsacchiotto di pezza ha bisogno di cibo,
proprio come me”;
- giocare
significa sperimentare, conoscere, crescere;
- giocare è
la principale modalità che il bambino ha per esprimersi.
Come nasce il gioco?
Il gioco si fa con le persone e con gli
oggetti.
Per giocare è necessario sviluppare abilità
cognitive, motorie, linguistiche e, a sua volta, l'attività in sé è l'occasione
in cui il bambino impara e potenzia queste competenze.
Il primo “oggetto” ludico è l’adulto. Il
volto umano diventa ben presto ciò che maggiormente stimola le risposte del
neonato, che interagisce con i genitori in un dialogo alternato.
In forme diverse, il ruolo della madre e del
padre è fondamentale in questo percorso. Nella diade mamma-bambino, il piccolo
inizia a scrutarne il volto, a sorridere, a rispondere al sorriso, dando vita
ad un processo a spirale in cui le battute degli attori si modificano
reciprocamente e gradualmente, fino ad una sempre maggiore sincronizzazione di
questa prima forma ludica e di socializzazione. Il contatto di sguardi e le
reazioni all'espressione del viso si collegano e coordinano, in un complesso ma
infallibile processo, al tono muscolare, a emozioni, a vocalizzi, mobilitando
l'integrazione di più canali sensoriali.
In questo dialogo, la madre introdurrà
diversi oggetti, il bambino dimostrerà di poter guardare la mamma, l'oggetto e
poi di nuovo la mamma, indicherà, comunicherà con suoni sempre più complessi.
Inizia la co-costruzione di significati
emotivi socialmente condivisi, che si evolvono per tutto il resto della vita
(intersoggettività).
Si sviluppano abilità quali l'orientamento
verso uno stimolo nuovo, l'attenzione, l'alternanza dei turni, l'integrazione
di diverse modalità sensoriali in nuove configurazioni.
Le esperienze di coppia servono poi per
maturare scambi a tre (bambino-soggetto-oggetto). Prendono forma l'attenzione
congiunta, l'imitazione, l'emozione e l'intenzione condivisa.
Contemporaneamente al processo descritto e
attraverso di esso si sviluppa il gioco: prima con le persone vicine, poi con
le parti del corpo, gli oggetti e infine con l'interazione tra oggetti e
persone. Compaiono giochi di movimento/esercizio, sensomotori, organizzativi,
simbolici e di finzione, infine si sviluppano attività sempre più sociali fino
a trasformarsi in giochi di regole e di squadra.
Dal gioco inizia la capacità di padronanza
della realtà e lo sviluppo di abilità, che serviranno in età adulta e nella
vita quotidiana.
Gli elementi sociali e l'attività ludica si
intrecciano e sovrappongono, partendo dal riconoscimento del viso, fino allo
sviluppo del linguaggio e di competenze motorio-prassiche sempre più complesse,
caratterizzando il nostro essere umani.
Giocare non è un modo di impiegare il tempo
libero, ma una tappa insostituibile dello sviluppo dell'individuo.
Perché si usa il gioco in terapia?
L'intervento terapeutico in età evolutiva,
soprattutto nell'area della neuropsicomotricità, è attuato attraverso il gioco.
Infatti, quest'ultimo rappresenta lo spazio
espressivo del bambino, un ponte per il suo mondo, vi garantisce l'accesso e
diviene un importante strumento di decodifica dello stesso, oltre che mezzo di
comunicazione; inoltre, rappresenta la motivazione all’azione e al movimento,
dunque alla sperimentazione.
Tutto ciò è utile ai fini dell'esplorazione
dell’ambiente e dell’esercizio di numerose abilità, divenendo porta d’accesso
alla conoscenza e quindi alla crescita dell’individuo nella sua globalità.
In terapia rappresenta la relazione col
bambino e funge da sfondo e cornice per la riabilitazione di molte competenze,
permettendo la funzione terapeutica di stimolazione e accompagnamento alla
crescita.
Dott.ssa Serena Tedeschi
Terapista della Neuro e Psicomotricità
dell'Età Evolutiva
Elicriso Psicologia e Riabilitazione