lunedì 17 dicembre 2012

I BENEFICI DEL MASSAGGIO INFANTILE





Il Massaggio Infantile è frutto della fusione di diverse tecniche: massaggio indiano rilassante, massaggio svedese che favorisce il flusso sanguigno verso il cuore, riflessologia plantare e yoga. Si tratta di gesti semplici ed effettuabili da tutti che evocano le sensazioni cui è stato già sottoposto il neonato durante la gravidanza, quando era ancora sospeso nel liquido amniotico del ventre materno. Vimala McClure ha codificato delle tecniche in sequenza, ma poiché ogni bambino è unico queste tecniche possono essere adattate di caso in caso. Il massaggio è ugualmente utile sia che venga effettuato dalla madre sia da personale specializzato; naturalmente nel caso che a farlo siano i genitori, tra i benefici ci sarà anche un legame migliore nell’ambito della famiglia. Per questo motivo le associazioni che si occupano di massaggio infantile offrono corsi diversi per genitori o per diventare esperti e terapeuti.

Quali sono i benefici?
I benefici sul bambino riguardano il sollievo, principalmente da coliche e tutti quei dolori che coinvolgono il sistema gastrointestinale ancora immaturo, ma anche nei fastidi che compaiono durante il periodo della dentizione; il massaggio è di sostegno nei disturbi del ritmo sonno-veglia e aiuta il bambino a rilassarsi e affrontare con più sicurezza situazioni che provocano stress e inquietudine. Questa pratica aiuta inoltre le funzioni respiratorie, circolatorie e coinvolge la regolazione degli ormoni riducendo la produzione dell’ormone dello stress (cortisolo) e aumentando la prolattina, ormone che rilassa.
Gli effetti fisiologici sono in stretto legame con lo sviluppo psicologico, il contatto che si crea tra genitore e figlio durante l’esperienza del massaggio è un dialogo di amore e rispetto aiuta il bambino a costruire un’immagine di sé, sviluppa fiducia in se stesso e nell’altro.


Roberta Bassani
DanzaMovimento Terapeuta
Insegnante AIMI di Massaggio Infantle
Elicriso Psicologia e Riabilitazione

LE MAESTRE DICONO CHE SCRIVO MALE! Disgrafia: cos'è e come riconoscerla.



L'ingresso alla scuola elementare segna un momento importante per i bambini, di crescita e di cambiamento. Cambiano le insegnanti, talvolta i compagni, cambiano gli spazi e i tempi, ma soprattutto cambiano i compiti e le richieste: inizia l'apprendimento delle materie curriculari. L'attività che occuperà la maggior parte del tempo sarà la scrittura. Si chiederà ai bambini di scrivere sul quaderno o di copiare dalla lavagna, lettere, parole, frasi, testi, e di continuare a scrivere a casa per svolgere i compiti.
Ma cosa significa scrivere?
La scrittura è la rappresentazione grafica del linguaggio verbale, per mezzo di un sistema di segni detti grafemi.
Scrivere, soprattutto se in corsivo, viene considerato la naturale evoluzione del movimento umano, del quale conserva e rispecchia le caratteristiche di continuità e fluidità. Alcuni studiosi definiscono questa abilità, o più specificatamente la grafo-motricità, come una funzione applicata della psicomotricità (Tajan, 1982).
Dietro questo atto quotidiano, automatico e fluido, si nascondono processi molto più complessi, che operano in maniera sinergica. Alla base, si coordinano diverse competenze: di percezione visiva, di organizzazione ed integrazione spazio-temporale, di conoscenza e rappresentazione dello schema corporeo, di coordinazione motoria, di dominanza laterale, di memoria e attenzione.
Inoltre, per scrivere il bambino impara a controllare a più livelli l'arto superiore per la prensione dello strumento grafico, il corretto assetto posturale da mantenere, la modulazione della forza usata e della pressione impressa sul foglio, gli aspetti dimensionali e direzionali del tratto, nonché il ritmo della scrittura.
Che vuol dire scrivere male?
Scrivere male potrebbe essere sintomo di Disgrafia.
La Disgrafia è un disturbo correlato al linguaggio scritto, che riguarda le abilità esecutive della scrittura. È un Disturbo Specifico dell'Apprendimento (DSA) che si manifesta con difficoltà a riprodurre sia i segni alfabetici che quelli numerici. Questa difficoltà riguarda esclusivamente il grafismo e non le regole ortografiche e sintattiche che, nonostante tutto, potrebbero essere inficiate a causa della frequente difficoltà di rilettura e di autocorrezione.
Il disturbo della scrittura può essere evidenziato solo a partire dalla seconda elementare, quando l'apprendimento del codice scritto è dato per acquisito (Facecchia e al., 2011).
Chi sono i bambini disgrafici?
La disgrafia può avere diverse cause: difficoltà motorie, problemi linguistici e di lettura, problemi comportamentali (Ajuriaguerra e Auzias, 1975).
I principali manuali per la diagnosi e l'inquadramento del disturbo individuano alla base diversi aspetti disfunzionali: difficoltà esecutive; deficit negli ambiti dell'apprendimento, di tipo fonologico/lessicale/sintattico; l'associazione di più fattori che inficiano il processo di codifica della scrittura (Bertelli e Bilancia, 1996).
Altri studi dimostrano la relazione con il disturbo del movimento e il ruolo centrale di quest'ultimo (Hamstra-Bletz e Blote, 1993). A questi deficit spesso si sommano quelli di processamento visivo.
La prevalenza delle difficoltà di scrittura è stimata tra il 5% e il 25%.
I bambini disgrafici hanno un quoziente intellettivo nella norma, ma fanno molta fatica a scrivere e non amano questa attività. Presentano una scrittura molto irregolare e disomogenea per forma e dimensione dei grafemi, lenta e illeggibile; gli alunni disgrafici dimenticano il modo in cui vengono composte le lettere o utilizzano modalità non uniformi e atipiche per la composizione delle stesse. 
La postura del tronco, della testa e del braccio è alterata: spesso il gomito dell'arto impegnato nella funzione è sollevato dal piano di appoggio, mentre l'altro arto viene svincolato dal ruolo di supporto.
Si osservano, inoltre, uno scarso controllo dello spazio grafico e dei collegamenti tra i grafemi: la linea di scrittura può presentarsi orientata verso l'alto o verso il basso, lo spazio tra le lettere o le parole è frequentemente eccessivo o insufficiente, si evidenziano frequenti inversioni dei caratteri. Copiare alla lavagna potrebbe essere complesso, in quanto i compiti da tenere sotto controllo sono maggiori e si aggiunge la difficoltà di passare da un piano verticale ad un piano orizzontale continuamente.
Questi aspetti si discostano dalle usuali differenze stilistiche presenti tra gli alunni e determinano nei bambini un disagio nell'adattamento della vita quotidiana.
Quando è importante intervenire?
Nell'era della tecnologia, in cui qualsiasi supporto digitale permette la produzione di testi scritti con caratteri universali e leggibili, si sceglie di intervenire sulla disgrafia quando quest'ultima diventa un disagio nelle attività quotidiane e un ostacolo al processo di crescita. Inoltre, non vanno sottovalutate le implicazioni socio-emotive che essa comporta.
Gli obiettivi dell'intervento sono volti prima di tutto al recupero delle disfunzioni della scrittura e al sostegno dello sviluppo armonico del bambino. 
La sperimentazione continua di insuccesso porta il piccolo a sviluppare una scarsa autostima, che può scaturire in un disagio psicologico caratterizzato da manifestazioni socio-affettive quali inibizione, aggressività, atteggiamenti istrionici e in alcuni casi depressione. La disgrafia lo pone di fronte alla certezza della propria incompetenza, poiché la scrittura è l'aspetto più visibile dell'apprendimento. Spesso si sviluppa precocemente rifiuto per la scuola, contenitore del disturbo.
Dunque, appare importante individuare il bisogno di aiuto del bambino e la sua motivazione. Un intervento precoce permette una migliore efficacia del trattamento. Infatti, con il passare del tempo le modalità di scrittura possono diventare sempre più radicate e difficili da modificare.
La diagnosi di disgrafia viene effettuata tramite la collaborazione di diverse figure professionali (neuropsichiatra infantile, psicologo, terapista delle neuro e psicomotricità dell’età evolutiva) e la figura maggiormente indicata per il trattamento riabilitativo è il terapista delle neuro e psicomotricità dell’età evolutiva.
In ultima analisi, si sottolinea l'importanza della prevenzione e del ruolo di genitori ed insegnanti nell'individuazione dei fattori di rischio già nella scuola dell'infanzia.



Dott.ssa Serena Tedeschi
Terapista della Neuro e Psicomotricità dell'Età Evolutiva
Elicriso Psicologia e Riabilitazione


venerdì 14 dicembre 2012

I disturbi specifici dell'apprendimento (DSA)



Con il termine Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) ci si riferisce ad un gruppo eterogeneo di disturbi che si manifestano in età evolutiva con significative difficoltà nell’acquisizione di uno specifico dominio delle abilità scolastiche (scrittura, lettura e calcolo) in bambini con intelligenza nella norma. Si tratta solitamente di difficoltà che si manifestano nel bambino fin dalle prime fasi del suo apprendimento, quando deve acquisire nuove abilità partendo da un assetto neuropsicologico che non favorisce l'apprendimento automatico di queste specifiche abilità.

Secondo la Consensus Conference del 2011 vengono riconosciuti i seguenti DSA:
·    dislessia: disturbo di decodifica della lettura che riguarda difficoltà a leggere correttamente e/o velocemente ad alta voce.
·    disortografia: disturbo della scrittura che riguarda difficoltà nella codifica fonografica e nelle competenze ortograficche
·    disgrafia: disturbo della scrittura che riguarda difficoltà nell’aspetto grafo-motorio
·    discalculia: disturbo del calcolo che riguarda, a seconda dei casi, le abilità del sistema del numero (scrittura e lettura di numeri, conteggio, etc.)  e del calcolo (calcoli a mente, procedure delle operazioni, memorizzazione delle tabelline, etc.)

I DSA possono riguardare un ambito specifico ma nella pratica clinica è frequente incontrare l'associazione di più disturbi (ad esempio dislessia e disortografia); si tratta comunque di disturbi distinti, ognuno con le proprie caratteristiche.

La diagnosi di DSA non può essere effettuata prima della fine della seconda elementare (e nel caso della discalculia prima della fine della terza elementare), ma, se al termine del primo anno della scuola primaria di primo grado, un bambino presenta caratteristiche che possano far ipotizzare un possibile disturbo dell’apprendimento, è consigliabile portarlo in valutazione.
Infatti, l’individuazione precoce del disturbo, ed il conseguente intervento, cambia il percorso di apprendimento del bambino ed evita altri tipi di problematiche a livello emotivo e motivazionale a cui vanno incontro bambini con DSA.

I Disturbi Specifici dell'Apprendimento (DSA) rappresentano oggi un problema rilevante con cui si confrontano bambini, famiglie, educatori, pediatri e specialisti (neuropsichiatri, psicologi, logopedisti, terapisti della neuropsicomotiricità, etc.). Tali difficoltà sono largamente diffuse e sono spesso associate ad un severo disagio con risvolti emotivi, cognitivi e sociali importanti.
In Italia, i DSA hanno una prevalenza tra il 2,5 e il 3,5% della popolazione in età evolutiva (Consensus Conference, 2011) e sono ufficialmente riconosciuti da una legge (170/2010) che offre ai bambini che presentano tali disturbi maggiori garanzie per lo sviluppo delle loro potenzialità.


Dott.ssa Laura Franceschin
Psicologa
Elicriso Psicologia e Riabilitazione

Il Massaggio Infantile




Creare benessere, proteggere la salute, ma anche rafforzare il legame tra genitori e figli. Il Massaggio Infantile  non è solo una tecnica, ma anche un modo per comunicare basato sul tatto, che si può eseguire fin dai primi giorni di vita del neonato, e può continuare durante gli anni; inoltre è indicato anche per bambini con problemi di salute o bambini con bisogni speciali.

La scoperta e la diffusione del massaggio infantile in Occidente si deve alla passione e all’entusiasmo di una donna statunitense, Vimala McClure. In Italia fra le associazioni che se ne occupano vi è l’AIMI, l’Associazione Italiana Massaggio Infantile, fondata a Genova nel 1989, che fa parte dell’International Association Infant Massage (IAIM), l’organizzazione che riunisce varie associazioni nazionali presenti in diversi stati: Danimarca, Svezia, Quebec, USA, Canada, Germania, Spagna, Nuova Zelanda, Australia. La sede internazionale (IAIMI) si trova in Svezia dal 1994.

La storia
La donna che ha perfezionato e diffuso in Occidente le tecniche del massaggio infantile è una statunitense del Colorado, Vimala McClure, che ha appreso le modalità di questa tecnica durante un periodo di lavoro in un orfanotrofio in India. Nel 1976, tornata in America e in attesa del primo figlio, Vimala decide di studiare e approfondire questa pratica, perfezionandola alla nascita del bambino. Successivamente, pubblica il suo primo libro, “Infant Massage: a Handbook for Loving Parents”. Nel 1981, grazie alla californiana Audrey Downes, nasce l’International Association Infant Massage Instructors, e la pratica del massaggio infantile inizia a diffondersi nel mondo.
In Italia arriva grazie a Benedetta Costa, terapista della riabilitazione nel campo pediatrico, che nel 1983 negli Stati Uniti partecipa ai corsi per instructors tenuti da Vimala. Tornata in Italia introduce l’insegnamento del massaggio presso il Servizio di Fisioterapia e nell’Unità di Terapia Intensiva Neonatale dell’Ospedale Gaslini di Genova. Inizia anche ad organizzare corsi per operatori e, grazie all’aiuto di una trainer americana, Maria Mathias, forma i primi insegnanti a Genova e Bologna. I corsi Aimi si tengono in Italia regolarmente dal 1990.

I corsi per i genitori
I corsi, che si articolano in cinque incontri, approfondiscono diversi punti:
·       teoria e pratica del massaggio;
·       rilassamento del bambino;
·       discussione sul legame madre-padre-bambino;
·       comunicazione non-verbale;
·       come variare il massaggio durante la crescita del bambino;
·       trattamento di disturbi frequenti nella prima infanzia come stipsi, meteorismo, coliche addominali, il pianto;
·       il massaggio e il bambino prematuro, ospedalizzato, disabile, in adozione, in affidamento.
Vimala McClure introduce i genitori al massaggio del bambino, sottolineando da una parte la tradizione secolare di tale pratica in India e dall’altra come il tempo del massaggio sia potenzialmente promotore di una migliore relazione: luogo privilegiato di ascolto dei segnali del bambino e di comunicazione.
Le nostre mani non solo comunicano amore, tenerezza e calore, ma quando usate per massaggiare infondono sicurezza, voglia di vivere e benessere. Il classico “massaggio sulla bua” che una mamma fa al proprio figlio, per esempio, ha un preciso fondamento. Tiffany Field ricercatrice, coordinatrice di oltre 50 ricerche sul tatto presso l’unico centro mondiale che studia scientificamente la pelle come organo di senso il Miami Touch Research Institute , spiega che “Il contatto e la pressione favoriscono la produzione di endorfine, naturali soppressori del dolore”.
In un’epoca in cui l’educazione genitoriale oscilla tra paura di “viziare” toccando troppo (tenendo troppo in braccio) i propri figli e il desiderio di crescerli in fretta, così da renderli presto autonomi, gli studi di René Spitz, John Bowlby, Mary Ainsworth e Marshall H. Klaus, ben ci illuminano sullimportanza della formazione del legame e dello stile d’attaccamento nello sviluppo dell’individuo.
Scrive il dott. Roberto Rossigni Ricercatore Universitario del Istituto Clinico di Pediatria Preventiva e Neonatologia dell’Università di Bologna “Come pediatra credo che potrebbe essere molto gioioso, per voi genitori, provare a massaggiare vostro figlio. Se l’interazione tra voi e il vostro bambino sarà piacevole e il massaggio divertente per entrambi, offrirete molte possibilità di ascolto e di stimolazione che costituiranno una solida base di conoscenza e di crescita per il futuro del vostro cucciolo.”


Roberta Bassani
DanzaMovimento Terapeuta
Insegnante AIMI di Massaggio Infantle
Elicriso Psicologia e Riabilitazione



Cosa fare per evitare sovrappeso e obesità nei nostri bambini




Il 17 novembre scorso si è tenuta in contemporanea in 12 diverse regioni Italiane la seconda edizione degli Stati Generali della Pediatria, una giornata organizzata dalla Società Italiana di Pediatria, in occasione della Giornata Mondiale del Bambino e dell’Adolescente, per una consultazione sul tema “Nutrizione e salute dal bambino all’adulto”. L’obiettivo dell’iniziativa è stato quello di riunire esperti, genitori, studenti, imprenditori dell’industria alimentare e istituzioni per individuare possibili percorsi strategici e promuovere l’adozione di stili di vita salutari e di corrette abitudini alimentari sin dalle primissime età della vita, prevenendo così anche lo sviluppo di malattie invalidanti da adulti, quali il diabete, l’ipertensione, malattie cardiovascolari, allergie, osteoporosi.
È infatti ormai diffusa tra gli scienziati la convinzione che molti dei disturbi metabolici che sorgono in età adulta siano in realtà prevenibili modificando le abitudini alimentari dei bambini e addirittura delle donne in gravidanza. Ecco perché è così importante cominciare a prendere provvedimenti fin dalla nutrizione pre- e post-natale e dall’alimentazione del bambino in età pre-scolare, proprio in quel periodo in cui il bambino comincia a sviluppare “l’impronta digitale” del proprio metabolismo.

Quali sono i fattori di rischio dell’obesità infantile?
È uno studio finanziato dalla Comunità Europea e svolto da 40 centri di Ricerca, di cui 5 italiani, di 16 Paesi europei (EARNEST 2005-2010) a rispondere a questa domanda, individuando 5 fattori di rischio: fumo e uso di sostanze tossiche per il feto in gravidanza; limitazioni all’allattamento materno; eccesso proteico ed esagerata introduzione di zuccheri nelle prime età della vita. Inoltre è anche importante ricordare che l’alimentazione della madre durante la gravidanza può incidere notevolmente, in quanto eccessi o carenze nutrizionali della madre, così come alterazioni metaboliche quali obesità, diabete o ipertensione aumentano il rischio per il nascituro di sviluppare obesità durante l’accrescimento.

Come prevenire l’obesità?
Uno dei risultati di questa giornata è stata la stipula di una lista di regole da seguire per evitare che un cattivo stile di vita o altri fattori di rischio possano portare i bambini all’obesità. Tutte azioni di prevenzione da intraprendere fin dai primi mesi di vita:
  1. Innanzitutto l’aspetto più importante inizia dall’allattamento al seno che dovrebbe durare almeno 6 mesi. Dopo di che si può iniziare lo svezzamento con una alimentazione mista, stando attenti ad evitare l’eccesso di proteine per tutti i primi due anni di vita.
  2. In secondo luogo, molto importante è controllare che l’accrescimento avvenga in maniera regolare tramite visite specialistiche periodiche e favorire un buon ciclo sonno-veglia, garantendo che il bambino dorma intorno alle 14-16 ore nell’arco della giornata nel caso del lattante; 12-14 ore per i bambini da 1 a 3 anni; 11-12 ore nell’infanzia e 9-10 durante l’adolescenza.
  3. Il terzo punto fondamentale è quello di evitare l’abuso di televisione e computer, introducendo dei limiti ben precisi: no alla televisione prima dei 2 anni e al massimo 2 ore al giorno per età superiori, evitando completamente l’utilizzo durante i pasti e in camera da letto.
  4. Infine, dai 5 anni in poi iniziare ad abituare il bambino a vivere una vita attiva, quindi camminare il più possibile per esempio andando a scuola a piedi, oppure parcheggiando più lontano, oppure scendendo una fermata prima dall’autobus, e far svolgere una regolare attività fisica per 60 minuti al giorno. 
Dott.ssa Cristiana Miglio
Biologa nutrizionista
Elicriso Psicologia e Riabilitazione