giovedì 31 maggio 2012

Che cos'è il gioco?



Panoramica sulla naturale forma d'espressione dell'infanzia: le origini, le implicazioni sociali, l'evoluzione in strumento di crescita e di terapia.

Cosa e perché giochiamo differisce a seconda del nostro punto di riferimento. Nessuna singola prospettiva è quella “giusta”. Nel definire questo termine, ci si trova di fronte a formule frequentemente incomplete o inesatte. Inoltre, il gioco appartiene alla dimensione sociale della persona, che è spesso difficile spiegare in termini logici.
Di seguito vengono riportati alcuni aspetti relativi al gioco dell'infanzia:
  • i bambini giocano indipendentemente dall’appartenenza culturale;
  • si gioca per il solo piacere di farlo. L’attività ludica è un obiettivo in se stessa e non è indirizzata a produrre niente;
  • giocare permette l'elaborazione e la comprensione sociale del bambino;
  • giocare fornisce un’opportunità per diventare più consapevole di sé attraverso l’interazione con il mondo circostante, per decentrarsi e guardare la situazione dal di fuori: “L’orsacchiotto di pezza ha bisogno di cibo, proprio come me”;
  • giocare significa sperimentare, conoscere, crescere;
  • giocare è la principale modalità che il bambino ha per esprimersi.

Come nasce il gioco?
Il gioco si fa con le persone e con gli oggetti.
Per giocare è necessario sviluppare abilità cognitive, motorie, linguistiche e, a sua volta, l'attività in sé è l'occasione in cui il bambino impara e potenzia queste competenze.
Il primo “oggetto” ludico è l’adulto. Il volto umano diventa ben presto ciò che maggiormente stimola le risposte del neonato, che interagisce con i genitori in un dialogo alternato.
In forme diverse, il ruolo della madre e del padre è fondamentale in questo percorso. Nella diade mamma-bambino, il piccolo inizia a scrutarne il volto, a sorridere, a rispondere al sorriso, dando vita ad un processo a spirale in cui le battute degli attori si modificano reciprocamente e gradualmente, fino ad una sempre maggiore sincronizzazione di questa prima forma ludica e di socializzazione. Il contatto di sguardi e le reazioni all'espressione del viso si collegano e coordinano, in un complesso ma infallibile processo, al tono muscolare, a emozioni, a vocalizzi, mobilitando l'integrazione di più canali sensoriali.
In questo dialogo, la madre introdurrà diversi oggetti, il bambino dimostrerà di poter guardare la mamma, l'oggetto e poi di nuovo la mamma, indicherà, comunicherà con suoni sempre più complessi.
Inizia la co-costruzione di significati emotivi socialmente condivisi, che si evolvono per tutto il resto della vita (intersoggettività).
Si sviluppano abilità quali l'orientamento verso uno stimolo nuovo, l'attenzione, l'alternanza dei turni, l'integrazione di diverse modalità sensoriali in nuove configurazioni.
Le esperienze di coppia servono poi per maturare scambi a tre (bambino-soggetto-oggetto). Prendono forma l'attenzione congiunta, l'imitazione, l'emozione e l'intenzione condivisa.
Contemporaneamente al processo descritto e attraverso di esso si sviluppa il gioco: prima con le persone vicine, poi con le parti del corpo, gli oggetti e infine con l'interazione tra oggetti e persone. Compaiono giochi di movimento/esercizio, sensomotori, organizzativi, simbolici e di finzione, infine si sviluppano attività sempre più sociali fino a trasformarsi in giochi di regole e di squadra.
Dal gioco inizia la capacità di padronanza della realtà e lo sviluppo di abilità, che serviranno in età adulta e nella vita quotidiana.
Gli elementi sociali e l'attività ludica si intrecciano e sovrappongono, partendo dal riconoscimento del viso, fino allo sviluppo del linguaggio e di competenze motorio-prassiche sempre più complesse, caratterizzando il nostro essere umani.
Giocare non è un modo di impiegare il tempo libero, ma una tappa insostituibile dello sviluppo dell'individuo.

Perché si usa il gioco in terapia?
L'intervento terapeutico in età evolutiva, soprattutto nell'area della neuropsicomotricità, è attuato attraverso il gioco.
Infatti, quest'ultimo rappresenta lo spazio espressivo del bambino, un ponte per il suo mondo, vi garantisce l'accesso e diviene un importante strumento di decodifica dello stesso, oltre che mezzo di comunicazione; inoltre, rappresenta la motivazione all’azione e al movimento, dunque alla sperimentazione.
Tutto ciò è utile ai fini dell'esplorazione dell’ambiente e dell’esercizio di numerose abilità, divenendo porta d’accesso alla conoscenza e quindi alla crescita dell’individuo nella sua globalità.
In terapia rappresenta la relazione col bambino e funge da sfondo e cornice per la riabilitazione di molte competenze, permettendo la funzione terapeutica di stimolazione e accompagnamento alla crescita.


Dott.ssa Serena Tedeschi
Terapista della Neuro e Psicomotricità dell'Età Evolutiva
Elicriso Psicologia e Riabilitazione

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